È un’immagine che fa discutere: Donald Trump, al centro dello Studio Ovale, affiancato da Tony Blair, ex premier britannico, e da Jared Kushner, suo genero e già architetto degli Accordi di Abramo. Sul tavolo, il futuro della Striscia di Gaza.
Secondo fonti ufficiali, l’incontro aveva l’obiettivo di mettere a punto un piano di ricostruzione “post-bellico”, ma in realtà segna la volontà di Trump di imprimere il proprio marchio sulla crisi mediorientale. L’idea è quella di presentare una proposta “integrata”, che unisca assistenza umanitaria e progetti infrastrutturali, finanziati da capitali arabi e fondi privati.
Steve Witkoff, imprenditore immobiliare e inviato speciale Usa per Gaza, ha parlato di un imminente “piano Marshall in miniatura”. Ma gli analisti leggono nell’operazione soprattutto la cifra politica di Trump: spostare la discussione sul terreno economico, per sottrarre centralità all’Onu e rilanciare l’immagine degli Stati Uniti come “costruttori” dopo mesi di sostegno militare a Israele.
Il coinvolgimento di Blair e Kushner non è casuale: il primo, oggi consulente internazionale, porta la sua rete di rapporti con le monarchie del Golfo; il secondo rappresenta la continuità con i dossier medio-orientali già seguiti durante il primo mandato Trump. Una combinazione che, secondo i critici, rischia di trasformare la tragedia di Gaza in un terreno di geopolitica e affari.