Sta diventando sempre più incontrollabile la diffusione di materiale audio, video e fotografico di vip e non, tramite la rete. Questo fenomeno ha un nome ed è Revenge Porn. Nelle utlime settimane hanno fatto parlare gli audio di Raul Bova e da qualche giorno i video di Stefano De Martino e della sua compagna Caroline Tronelli. Ma questi sono solo gli ultimi ad essere finiti al centro della cronaca. E sia ben chiaro la cronaca non di cui parliamo non è quella rosa.
Ricordiamo il caso di Tiziana Cantone che il 13 settembre 2016, all'età di trentatré anni, si suicidò dopo la diffusione in rete di alcuni suoi video privati amatoriali.
Negli ultimi 10–12 anni i furti e le diffusioni illecite di materiale privato di celebrità hanno seguito tre traiettorie principali:
- Hacking mirato degli account cloud/e-mail.
Il caso-simbolo è “Celebgate” (2014), quando decine di attrici, cantanti e modelle (tra cui Jennifer Lawrence, Kate Upton, Kirsten Dunst) subirono la sottrazione e poi la pubblicazione di foto private. Le indagini statunitensi hanno accertato che diversi hacker usarono phishing per carpire credenziali iCloud/Gmail, scaricare i backup e sottrarre le immagini: tra i condannati figurano Ryan Collins (18 mesi), Edward Majerczyk (9 mesi) e George Garofano (8 mesi). Queste sentenze hanno chiarito che, anche senza essere gli autori materiali dell’upload pubblico, l’accesso abusivo e la copia dei contenuti costituiscono reati autonomi. - “Raccolta” e rivendita su canali chiusi.
La seconda ondata è esplosa su Telegram e altre piattaforme semi-chiuse, dove amministratori e utenti hanno aggregato, rivenduto e “riciclato” materiale rubato (anche foto di VIP italiane/i). Nel 2020, su impulso di una denuncia di Diletta Leotta, la Polizia Postale ha individuato amministratori di tre canali con migliaia di iscritti; tra i contenuti sequestrati c’erano anche immagini attribuite a Wanda Nara. Il caso ha mostrato la filiera: hackeraggi “storici” → ripubblicazione su gruppi → monetizzazione → ulteriore viralità. - Diffusione da parte di ex partner o conoscenti (revenge porn in senso stretto).
Qui non c’è per forza un hacker: il materiale nasce consensuale e privato, ma viene rilasciato senza consenso (spesso per vendetta o lucro). In Italia, prima del 2019 casi eclatanti hanno mostrato la gravità sociale del fenomeno; dopo il 2019 la legge ha tipizzato il reato (vedi §3). Il tema, purtroppo, riguarda anche persone famose e conduce a effetti di danno permanente (ripubblicazioni incessanti, mirror, indicizzazione). Un episodio noto e discusso è il video intimo di Belén Rodríguez, finito online nel 2011, oggetto di inchiesta della Procura di Milano; la vicenda evidenziò pure tentativi di estorsione collegati alla diffusione del filmato.
I casi di VIP più rilevanti in questi ultimi anni che hanno visto personalità italiane ed estere al centro del revenge porn sono state:
- Diletta Leotta (2016–2020): prima denuncia per foto private sottratte dal telefono/Cloud (2016–2017), poi nuova ondata di ripubblicazioni su canali Telegram (2020); gli accertamenti hanno portato a denunce degli amministratori. È uno dei casi che hanno spinto a interventi di polizia su larga scala contro i canali del revenge porn.
- Wanda Nara: materiale privato comparso tra i contenuti sequestrati nei canali Telegram oggetto d’indagine nel 2020.
- Belén Rodríguez (2011): video intimo (girato in età minore, secondo quanto emerse allora) apparso online; la Procura aprì un fascicolo ipotizzando gravi reati connessi alla diffusione. Il caso mostrò i limiti (all’epoca) degli strumenti per frenare la circolazione virale dei contenuti.
- Celebgate (2014, USA): decine di celebrity colpite; più condanne per phishing/hacking di account iCloud/Gmail (Ryan Collins, Edward Majerczyk, George Garofano). È il precedente mondiale che ha fatto scuola su tecniche d’attacco e risposta giudiziaria.
Che cos’è (davvero) il revenge porn e cosa dice la legge italiana
Con “revenge porn” si indica la diffusione non consensuale (pubblicazione, invio, condivisione) di immagini o video sessualmente espliciti originariamente destinati a rimanere privati. Può essere compiuta da chi il materiale l’ha realizzato o sottratto, ma anche da chi lo ha ricevuto o acquisito e poi lo inoltra allo scopo di nuocere. In Italia la fattispecie è stata introdotta nel 2019 (c.d. Codice Rosso) come art. 612-ter c.p. (“Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”):
Pena base: reclusione da 1 a 6 anni e multa da 5.000 a 15.000 euro.
Stessa pena per chi riceve/acquisisce i contenuti e li diffonde per arrecare nocumento.
Aggravanti: se i fatti sono commessi dal coniuge o ex/partner o tramite strumenti informatici/telematici, la pena aumenta.
La norma è stata progressivamente “riempita” dalla giurisprudenza: ad esempio, integra il 612-ter anche chi rilancia a terzi materiale reperito in siti accessibili solo agli iscritti (perché il consenso alla circolazione resta circoscritto a quella comunità chiusa).
Sul piano della tutela pratica, alle denunce penali si affiancano misure di rimozione rapida e richieste ai gestori delle piattaforme che però non possono garantire la completa cancellazione dopo che il file è stato caricato nel web; sono state presentate in Parlamento proposte per rafforzare obblighi e tempi di intervento dei provider sui contenuti 612-ter.
Dimensioni del fenomeno in Italia
La Polizia di Stato segnala dal 2019 in poi un incremento delle denunce legate a 612-ter, con canali Telegram e piattaforme di messaggistica che giocano un ruolo di amplificazione. Operazioni del 2020 hanno confermato l’esistenza di reti strutturate che aggregavano e monetizzavano contenuti (anche con riferimenti a volti noti). Diversi provvedimenti regionali e linee guida rivolte alla cittadinanza richiamano espressamente l’art. 612-ter e la necessità di segnalare, non condividere e conservare le prove.
Il ruolo di Fabrizio Corona nei “crimini contro la privacy”
Massimo esponente in questi anni il divulgatore di materiale sensibile per eccellenza: Fabrizio Corona. L'ex signor Rodriguez, Morić, Provvedi ecc ecc è stato più e più volte mandante o contatto o solo divulgatore di tantissimo materiale audio video e fotografico di VIP inconsapevoli che in alcuni casi venivano minacciati se non avessero pagato fior fiore di quatrini o che si sono trovati sbandietari al mondo senza essere stati avvisati.
Dobbiamo ricordare che non si parla di paparazzate ma di vere e proprie estorsioni, in alcuni casi, con il suolo fine di fare soldi.
Quando comincia l'era Fabrizio Corona? Per inquadrare correttamente abbiamo:
- L’era pre-social e “Vallettopoli”.
A metà anni 2000, Fabrizio Corona (allora titolare di un’agenzia fotografica) fu al centro dell’inchiesta Vallettopoli, che riguardava la commercializzazione e l’uso estorsivo di immagini “compromettenti” di personaggi famosi. La vicenda si è chiusa, per Corona, con condanne per estorsione e altri reati connessi: la Corte d’Appello di Milano nel 2009 qualificò condotte di estorsione consumata e tentata; nel 2015 la Cassazione si è pronunciata sui capi residui. Al di là degli aspetti tecnici, il caso ha segnato l’idea—poi esplosa nell’era social—che la merce-privacy dei VIP potesse essere monetizzata o usata per condizionare scelte editoriali.
- La transizione al digitale e l’effetto-megafono.
Con l’avvento di piattaforme e canali “diretti”, Corona ha mantenuto una presenza mediatica spesso fondata sulla rivelazione di contenuti e informazioni sensibili su personaggi dello spettacolo e dello sport (interviste e uscite pubbliche 2023–2024). Pur non sovrapponendosi tecnicamente al revenge porn (612-ter), questa economia dell’indiscrezione ha contribuito a normalizzare la domanda di materiale privato e a rendere i confini tra interesse pubblico e voyeurismo sempre più porosi. (Si veda, ad esempio, il suo racconto del proprio passato nell’inchiesta Vallettopoli e le successive iniziative mediatiche; il punto, qui, è la continuità culturale più che la tipologia di reato.)
- Corona e i casi di intimità rubata dei VIP.
Nel 2011, quando esplose online il video intimo di Belén Rodríguez, la cronaca riportò anche tentativi di estorsione legati alla sua circolazione; Corona—che all’epoca era compagno di Belén—entrò nella narrazione mediatica come figura “di contesto” del gossip e delle faide tra addetti ai lavori. Quel caso fu però anzitutto un esempio drammatico di violazione della sfera privata e di impotenza (all’epoca) degli strumenti di contrasto.
Corona è stato protagonista storico di un sistema che ha valorizzato economicamente la vulnerabilità della privacy dei VIP (fase Vallettopoli) e, nell’era social, ha spesso agito da cassa di risonanza per contenuti sensibili. Ciò non coincide automaticamente con l’autore di singoli reati di revenge porn (che richiedono i presupposti dell’art. 612-ter), ma ne alimenta il contesto culturale: più c’è audience per l’intimità altrui, più prosperano furti, ricatti e diffusioni non consensuali.
Dal 2014 a oggi il furto e la diffusione di contenuti privati dei VIP sono passati dall’hacker solitario al mercato industriale dell’intimità, con piattaforme che moltiplicano audience e profitti. Il revenge porn in Italia è oggi un reato specifico (art. 612-ter c.p.), con pene severe e aggravanti tecnologiche; resta però decisivo l’ecosistema: domanda di contenuti, incentivi economici e figure mediatiche che legittimano la violazione della sfera privata—ieri nei settimanali scandalistici, oggi nei canali social. Fermare questa spirale significa spezzare il ciclo: più denuncia e rimozioni rapide, più prevenzione tecnica, meno click sull’intimità altrui.